Pier Paolo Pasolini
COMIZI D’AMORE
a cura di Graziella Chiarcossi e Maria D’Agostini
fotografie di Mario Dondero e Angelo Novi
pp. 200, € 19.90
Contrasto, Roma 2015
Nel 1963, mentre viaggiava per l’Italia alla ricerca dei luoghi per il suo grande film Il Vangelo secondo Matteo, Pasolini propose alla casa di produzione Arco una pellicola sul tema gli italiani e il sesso. Alla fine del boom economico e agli inizi della cosiddetta liberazione sessuale il tema era nell’aria. Il progetto divenne il film inchiestaComizi d’amore, girato tra marzo e novembre e proiettato al Festival di Locarno il 26 luglio 1964. Uscirà nelle sale l’anno seguente, vietato ai minori di diciotto anni.
Si tratta di una serie d’interviste, o meglio di brevi conversazioni collettive, raggruppate per argomenti e condotte in luoghi pubblici (spiagge, città, campagne, treni), che coinvolgono tutti gli strati sociali e tutte le età, dai bambini agli anziani. I temi, allora e sempre scabrosi, sono tutti legati al sesso: come nascono i bambini, la soddisfazione nella vita sessuale e matrimoniale, le differenze di comportamento e di regole tra i sessi, la gelosia, l’infedeltà, la prostituzione, le case di tolleranza, l’omosessualità, le perversioni, il concetto dell’onore e le sue conseguenze.
La gente è abbordata con semplicità e sincerità, alla Pasolini. L’intervistatore è sempre il regista, ma il protagonista è il pubblico. Non mancano però alcune personalità di rilievo, innanzitutto Alberto Moravia e Cesare Musatti, che appaiono nei titoli di testa come sorta di consulenti. Compaiono anche, come testimoni più che come esperti,Giuseppe Ungaretti, Oriana Fallaci, Adele Cambria, Camilla Cederna e pochi altri.
Tutti sono imbarazzati quando parlano di sesso
In tutto il film solo la breve scena finale è recitata: il matrimonio tra due giovani in un quartiere di Roma. La sposa, Graziella Chiarcossi, è ora la curatrice, con Maria D’Agostini, di un bel volume, edito da Contrasto, che offre il testo completo del film, i materiali preparatori, un saggio di Vincenzo Cerami, un articolo di Dario Argento e uno di Michel Foucault, e un gran numero di fotografie in bianco e nero che ritraggono per lo più Pasolini insieme al suo pubblico e ai suoi interlocutori. Questi scatti di due grandi fotografi, Mario Dondero (in piccola parte) e Angelo Novi (i quali provengono dal suo archivio privato, donato alla Cineteca di Bologna nel 2003 e amorevolmente riordinato), sono parte integrante della narrazione e concorrono a far rivivere un’Italia che sembra, ma sembra soltanto, assai lontana.
I volti, i corpi, i vestiti di questi gruppi per lo più divisi per sesso (a parte le spiagge e le università) documentano un’Italia dal sapore quasi archeologico. Ma gli sguardi e le parole denunciano pregiudizi quasi immobili, tra i quali l’amore per la verità di Pasolini fatica ad aprirsi una strada oggi come allora. Se non bastasse la cronaca quotidiana a dimostrare che l’ignoranza è intatta quanto la forza delle pulsioni, basterebbero la reticenza, l’imbarazzo, il suono stesso delle risposte a dirci che è di noi che stiamo parlando.
Le risposte appaiono, come le immagini di Novi e Dondero, senza commenti né interpretazioni. O quasi. Bravissimo nell’approccio e nelle domande, Pasolini ogni tanto si lascia andare, e allora moraleggia o generalizza un po’. “La furberia e l’arte di arrangiarsi sono ancora poi in fondo l’unica filosofia italiana”. “Il Sud è vecchio ma è intatto. Guai alle svergognate, guai ai cornuti, guai a chi non sa ammazzare per onore. Sono leggi di gente povera, ma reale”.
Raro ma efficace il contrappunto dei due leoni, e che leoni. Musatti, rispondendo con una lettera agli “appunti per il film” ricevuti dalla Arco, mette in guardia contro facili illusioni: “Tutti sono imbarazzati quando parlano di cose sessuali… Il pubblico ha bisogno di raccogliere tutte queste cose sotto il concetto di ‘vizio’: e cioè di una volontaria, e perciò colpevole e peccaminosa, ricerca o attuazione di qualche cosa di proibito”. La ragione, spiega Musatti, è che in questo modo “tutto si semplifica” e così “ci si può difendere”. Era il 1963, ma non sembra passato molto tempo. Dopo le domande ai bambini con cui si apre il film, Moravia e Musatti discutono su una terrazza. Moravia difende il cinema-verità. Musatti è scettico: sul sesso “la gente o non risponde o risponde il falso”. “Per ignoranza o per paura?” domanda Pasolini. “Da un punto di vista psicoanalitico non sono due cose staccate” risponde Musatti. Insomma, conclude Pasolini, “una specie di crociata contro l’ignoranza e la paura”.
Degna crociata, senza dubbio, anche se ha una vaga somiglianza con quelle di don Chisciotte. Pasolini si proponeva di “esaminare l’Italia dal basso e dal profondo, cioè nei più bassi strati sociali e nelle profondità dell’inconscio”. Nel breve spazio di una proiezione cinematografica può dire di esserci almeno in parte riuscito, come dimostra il film. Ma ci servirebbero ancora tante crociate!
casalegno.salvatorelli@gmail.com
A. Casalegno è giornalista